- 01/04/2007
- Federico Morganti
- III (2007)
- Recensione
L’uscita de La natura dopo Darwin segue di circa due anni la pubblicazione di Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione (Donzelli, 2005), saggio in cui l’A. già tracciava alcune linee di riflessione che caratterizzano il presente testo. In Dio e Darwin, precisamente, il leit motiv era stato quello della plausibilità dell’ipotesi naturalistico-darwiniana, vale a dire la completa autonomia della spiegazione naturale dei fenomeni evolutivi, basata sul meccanismo darwiniano di mutazione-selezione. Con la teoria di Darwin si otteneva infatti una spiegazione soddisfacente degli adattamenti funzionali delle specie biologiche, al punto da rendere non più necessario il ricorso all’esistenza di un disegno divino, teleologicamente preordinato a partire dalla stessa creazione. Proprio l’apparente finalità insita negli adattamenti del vivente veniva a essere fatalmente incrinata dall’elemento casuale della mutazione inserito nella sequenza causale della selezione e della trasmissione ereditaria. La teoria darwiniana emancipava in tal modo la scienza del vivente dalla teologia naturale à la Paley. Né tale teoria poteva essere impensierita dalla recente ricomparsa dell’argomento del disegno sotto forma di Intelligent Design (ID). Infatti, il concetto di complessità irriducibile su cui si basa l’ID non ripropone novità tali da sottrarsi alla critica darwiniana. Anche l’occhio ammirato da Paley, in fondo, era sembrato «irriducibilmente complesso» finché Darwin non mostrò come potesse essere derivato da una selezione graduale. La cellula vivente, la Darwin’s black box di Behe, non fa eccezione.