- 01/06/2016
- Loris Caruso
- XI (2016), 1
- Recensione
Gli studi gramsciani e la diffusione internazionale di Gramsci si sono recentemente evoluti in
due direzioni prevalenti. Da un lato, l’interpretazione storiografica e filologica, densa di dispute
sul significato di singoli passaggi dei Quaderni del carcere, sul rapporto tra la prima, la seconda e la
terza stesura di questi passaggi, oppure su presunte rivelazioni circa il vero rapporto di Gramsci
con il Pci e i suoi massimi dirigenti negli anni del carcere. Dall’altro lato, si è affermata una lettura
culturalista di Gramsci, una rappresentazione del suo pensiero che esalta il ruolo centrale della
cultura come luogo prioritario, se non esclusivo, della lotta egemonica e della disputa politica,
alternativo al conflitto «materialista» tra le classi sociali. Un Gramsci post-marxista, in alcune
varianti perfino liberale, che invertirebbe la gerarchia tra struttura e sovrastruttura assegnando alla
seconda il primato sulla prima, e che immaginerebbe la trasformazione sociale come opera di
costruzione culturale nell’ambito della sola società civile, rendendo la politica e la cultura
autonome dalla dimensione economica.