- 01/04/2007
- Massimiliano Biscuso
- III (2007)
- Recensione
Il poderoso volume (732 pagine) di Nicola Caputo non intende solo ricostruire l’itinerario speculativo di Bertrando Spaventa nella sua interezza e prendere in esame i principali esponenti della sua scuola, ma nutre anche l’ambizione di riproporre l’attualità del discorso del «real-idealismo» quale sintesi dialettica del soggettivismo gentiliano e dell’oggettivismo neomarxista che avrebbero dominato ripettivamente la prima e la seconda metà dello scorso secolo; una filosofia radicalmente alternativa alle pseudo-filosofie quali la fenomenologia e l’esistenzialismo, o il neopositivismo logico e la filosofia analitica, le quali immancabilmente finirebbero nel relativismo, cioè nella non-filosofia. Il real-idealismo, dunque, come «unica filosofia possibile», che si è sviluppata, anzi che «non può svilupparsi se non lungo l’asse genealogico Hegel-Spaventa-Maturi-Jaja-Masci-Alderisio»… e lo stesso Caputo, troppo modesto per citarsi quale esito di tale tradizione. La ricerca di Caputo si divide in tre parti: la prima è dedicata alla formazione filosofica di Spaventa e alla prima fase della sua attività, fino alla Parentesi del 1858 (inedito scoperto da Alderisio nel 1933); la seconda alla matura filosofia del pensatore abruzzese; la terza ai principali sviluppi della scuola di Spaventa, in particolar modo a Sebastiano Maturi, Donato Jaja e Filippo Masci. L’esposizione dei testi e dei problemi spaventiani è ampia e spesso utile, sebbene la letteratura secondaria sia assai datata; spiace però il tono apologetico che mal si confà ad un saggio che vuole essere teoretico e che dunque dovrebbe essere critico.