- 01/04/2007
- Andrea Bellocci
- III (2007)
- Saggio
Il presente contributo vuol essere, innanzitutto, una radicale messa in discussione della tesi avanzata da Salvatore Natoli nel suo ultimo volume “Sul male assoluto – nichilismo e idoli nel Novecento”: la locuzione “male assoluto” nasce, com’è noto, ad Auschwitz, e con essa si indica perlopiù la comparsa di un male ormai inesorabilmente eccedente e resistente a qualunque tentativo di spiegazione; ebbene, Natoli tenta di demitizzarne il concetto, rintracciandone l’origine in un “evento mentale”, ovvero nella proiezione ed esternalizzazione del male che il singolo (o gruppo) compie sul capro espiatorio; il singolo, ora preservato nella sua purezza, si presenta egli stesso come il “bene assoluto”, mentre il capro espiatorio, che altro non è se non il “nemico assoluto”, viene pensato e nominato come “male assoluto”, da distruggere e sradicare. Questo tentativo di demitizzazione fallisce il bersaglio: in primo luogo, il fenomeno della proiezione (evidentemente ispirato alle tesi di Renè Girard) non dice ancora nulla circa l’essenza di quel male (di cui lo stesso Natoli peraltro ammette l’esistenza) che è in me, originariamente, prima dunque d’ogni proiezione, la quale, anziché ambire ad essere principio di spiegazione e genesi del male, si pone evidentemente come successiva e secondaria; in secondo luogo l’assolutezza del male sembra essere negata da Natoli in un altro senso ancora, ovvero che il male possa essere voluto per se stesso, e qui l’autore ricade inevitabilmente nella più tipica forma di intellettualismo etico. Si impongono di necessità due brevi riferimenti: ad Hannah Arendt, innanzitutto, richiamata da Natoli come mera conferma del fatto che il male è e può essere sempre e soltanto “banale”; la prospettiva di Arendt sulla banalità del male, ciò in accordo con buona parte della letteratura critica recente, può essere tuttavia interpretata come un approfondimento, sia pur in un’altra angolatura, della tesi precedentemente espressa sulla sua radicalità e assolutezza; in secondo luogo ad Hans Jonas, anch’egli, come Natoli, alle prese con l’argumentum Epicurei; ed infatti, se Natoli liquida piuttosto sbrigativamente in nesso male – Dio sostenendo che Dio, messo di fronte al male, non può che uscirne indebolito o perverso, Jonas non esita a sacrificare l’attributo dell’onnipotenza divina.
Che il male non possa essere pensato senza Dio è tesi sostenuta anche da Luigi Pareyson nell’ “Ontologia della libertà”: in questo caso, tuttavia, non solo i tradizionali attributi dell’onnipotenza, bontà e comprensibilità vengono ad essere annullati nell’abisso della libertà divina, ma la stessa origine del male, di cui viene affermato il carattere di realtà positiva, libera, spirituale, viene fatta risalire a Dio: l’inizio, configurato quale vera e propria alternativa, ovvero come scelta, implica infatti necessariamente un contatto col “nulla”, che viene a costituire in tal modo il versante meontologico dell’autogenesi divina.
Il male si configura come possibilità già sempre scartata, ma istituita proprio tramite il suo rifiuto.
Infine è da mettere in luce come a monte del “discorso temerario” sul male in Dio non ci siano soltanto, come generalmente affermato dagli interpreti, le “Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana” di Schelling, ma anche, e soprattutto, le riflessioni condotte da Karl Barth sulla “mano sinistra” di Dio in “Dio e il Niente”: per entrambi i pensatori il male va pensato come alternativa scartata da Dio, ma istituita proprio tramite il suo rifiuto. Il riferimento a Pareyson è davvero paradigmatico: forse il male trova una sua più adeguata, spiazzante, tragica collocazione proprio nel pensiero tragico, che non esita a portare il conflitto e la negazione nel cuore stesso di Dio. In quest’ottica di pensiero, che supera di colpo l’alternativa tra teodicea ed ateismo come movimenti specularmene opposti ed unilaterali, il male, di certo, conserva tutto il suo carattere di eccedenza e scandalosità: alla luce del pensiero tragico i vari tentativi di demitizzazione, tra cui rientra a pieno titolo quello operato da Natoli, si rivelano vere e proprie strategie di minimizzazione ed edulcorazione del male.