- 01/04/2006
- Claudia Melica
- II (2006)
- Recensione
La casa editrice Il Melangolo sembra orientata negli ultimi anni a promuovere il pensiero di Piero Martinetti (1872-1943). Dopo aver pubblicato nel 1998 L’amore e Il Vangelo e poi nel 1999 Pietà per gli animali, propone ora un’altra opera di Martinetti dedicata ad uno dei pensatori dai lui prediletti: Artur Schopenhauer. Si tratta di un’antologia con passi tratti dalle opere di Schopenhauer, curata e tradotta da Martinetti, preceduta da un’ampia introduzione, seguita da una dettagliata bibliografia dell’epoca sul filosofo tedesco e da un importante saggio sulla rinascita degli studi sul tema. L’opera era stata pubblicata da Martinetti nel 1941 (Garzanti, Milano) e a quest’edizione erano seguite altre due edizioni nel 1944 per la stessa casa editrice e nel 1971 (Patron, Bologna) con appendice di G. Morra. La recente edizione, a cura di Mirko Fontemaggi, non è però una semplice ristampa dell’ultima edizione, bensì è corredata da un’ampia introduzione su Martinetti schopenhaueriano e da una sintetica bibliografia delle opere del filosofo piemontese. Sebbene un’attenzione specifica a Schopenhauer compare solo nelle ultime opere di Martinetti, invece, come lo stesso filosofo italiano dichiarò: Schopenhauer fu il suo «primo maestro» e nella prima giovinezza egli trascorreva «giornate a leggerne le opere» (A. Del Noce, Martinetti nella cultura europea, italiana e piemontese, in Giornata martinettiana, Torino 1964, p. 71). Come egli sostiene in quest’antologia, di Schopenhauer il filosofo italiano condivideva anche il carattere appartato e solitario di «saggio isolato dal mondo» (109), contrariamente a Hegel che fu invece un caposcuola. Quest’adesione non metteva in luce esclusivamente un suo snobismo aristocratico, ma aveva un carattere soprattutto politico. Nelle pagine dedicate a Schopenhauer, in realtà, sono sottolineate implicitamente le ragioni che condussero Martinetti a rifiutare il giuramento al partito fascista nel 1931 e la scelta di isolarsi nella sua tenuta di Spineto di Castellamonte. Martinetti scrive nell’antologia che «la posizione del filosofo che non vuole rinunciare alla sua missione e che non vuole adattarsi a compromessi è […] molto difficile» (232).Come Schopenahuer, anche il filosofo italiano aveva studiato la filosofia orientale e soprattutto il sistema di Samkya, pubblicando, con un prestigioso premio dell’Accademia delle scienze di Torino, la sua tesi sulla filosofia indiana nel 1896. In maniera non esplicita, in realtà, Schopenhauer, come hanno messo in luce altri interpreti in altre occasioni, F. Alessio (P. Martinetti, Spinoza, Bibliopolis, Napoli 1987) e A.Vigorelli (Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Mondadori, Milano 1998), era già presente in una delle prime importanti opere con la quale il filosofo piemontese si fece conoscere dal pubblico: Introduzione alla Metafisica (1902-1904). L’interesse per Schopenhauer era all’epoca un’eccezione nel panorama filosofico italiano in generale e soprattutto in quello idealistico, poiché l’idealismo religioso di Martinetti mutuava dal filosofo tedesco la critica contro l’hegelismo e lo storicismo ottimistico. Critica che era il risultato della sua speciale interpretazione di Schopenhauer e della condivisione con il filosofo tedesco, come è stato chiarito prima da Alessio e poi ribadito da Vigorelli, di almeno tre momenti fondamentali. In primo luogo «il valore assoluto dell’intuizione (sia sensibile che intellettuale) nella conoscenza». In secondo luogo, «il presupposto idealista, secondo cui il mondo è rappresentazione» ed infine «l’intonazione moralistica nella concezione della filosofia» (A.Vigorelli , Piero Martinetti, cit., p. 77). Come Martinetti sostiene nel saggio La rinascita di Schopenhauer, pubblicato nel 1940 nella «Rivista di filosofia» ed ora ristampato nel volume su Schopenhauer, la tesi ottimistica relativa ad un progresso nella storia è irreligiosa, perché «indirizza l’attività dell’uomo verso le cose esterne, le istituzioni, le riforme sociali e simili» e ciò non muta la natura intima dell’uomo. Per questo motivo, «il pessimismo schopenhaueriano […] richiama l’individuo dalle esteriorità al suo mondo intimo, lo indirizza verso le conquiste interiori, verso le realtà spirituali che sono al di là e al disopra della storia» (229).Tuttavia, l’atteggiamento di Martinetti nei confronti di Schopenhauer, come mette in luce il curatore Fontemaggi, non è esclusivamente di totale adesione. Egli critica diversi aspetti della sua filosofia, tra i quali l’irrazionalismo, che era una conseguenza della dura critica di Schopenhauer al concetto di ragione kantiano e alla sua connessione con la morale. Martinetti obbietta in maniera estremamente chiara come Schopenhauer abbia torto «nel considerare la morale kantiana come fondata esclusivamente su concetti, su astrazioni: certamente poi ha torto quando nega ogni valore metafisico alla ragione» (87). Martinetti prende, in questo caso, le parti di Kant ed emerge il suo kantismo anche laddove a questa critica è collegata quella del concetto di volontà espresso da Schopenhauer. Non è possibile, per Martinetti, ammettere nella morale una volontà particolare, altrimenti non potrebbe esservi un’azione disinteressata e moralmente giusta. Essendo per Martinett la moralità connessa strettamente al problema della libertà (91), essa non può fondarsi, come Schopenhauer ritiene, su un elemento così particolare come la pietas, che origina dal cuore (93).In conclusione, il pensiero di Schopenhauer è giudicato da Martinetti così fecondo dal ritenerlo uno tra i filosofi più vivi e più moderni del tempo. Il rispetto, inoltre, che alcuni studiosi dell’epoca nutrirono verso Schopenhauer, sarebbe il segnale «dell’altissimo posto che egli, come Spinoza, quanto più tardi, tanto più stabilmente occuperà nella storia dello spirito umano» (109).