Recensione a D. Gentili, E. Stimilli (a cura di), Differenze italiane. Politica e filosofia: mappe e sconfinamenti, DeriveApprodi, 2015

È lecito parlare di Italian Theory o è solamente un logo filosofico che mette insieme diversi
pensatori accomunati solo da una provenienza geografica? Se si tratta, invece, di un orizzonte
entro cui inscrivere la filosofia italiana, quali sono le pratiche, le metodologie e gli argomenti che
giustificano questa operazione teoretica? L’intento del volume collettaneo curato da Gentili e
Stimilli non è quello di «rinchiudere il pensiero italiano all’interno dei confini pacificati e condivisi
di una teoria» (p. 5), ma di lasciare aperti gli interrogativi e tracciare una mappa orientativa. Nata
dalla fortunata ricezione e percezione del pensiero italiano all’estero, dagli Stati Uniti all’America
Latina, dal Giappone all’Australia, l’Italian Theory designa un fenomeno ormai consolidato che
unisce paradigmi filosofico-politici diversi, dall’operaismo alla biopolitica, passando per l’eredità
gramsciana e il pensiero debole.