- 01/06/2014
- Stefano Maschietti
- IX (2014), 1
- Recensione
L’ultimo lavoro teoretico di Severino è un tentativo ulteriore di esplorare e rigorizzare il
rapporto di intrinsecità tra il linguaggio dell’errore e della separazione nichilistica, e il linguaggio
testimoniante la verità del destino. Pur nell’ambito di una parabola filosofica sin dall’inizio, da La
struttura originaria (1958), coerente e unitaria, si può dire che a partire da Oltre il linguaggio (1992), e
con sempre più esplicita radicalità dopo Tautótēs (1995), Severino abbia accentuato la tesi per cui
il divenire attestato dal senso comune, ancor più che definire una modalità possibile dell’apparire
trascendentale (questa decifrazione mi sembra più caratterizzante il percorso fino a Destino della
necessità), si (de)costituisca come intendimento, illusorio e sognante, dell’impossibile (pp. 82-89 e
p. 176).