- 01/04/2010
- Andrea Bellocci
- VI (2010)
- Saggio
Scopo del presente contributo – in parte anticipato dalla relazione tenuta al Convegno Nazionale dei
Dottorati di Ricerca in Filosofia (Istituto Banfi, Reggio Emilia 21-24 gennaio 2008) – è di mettere in discussione, o meglio, di integrare, ciò che in sede ermeneutica viene per lo più dato per scontato: ovvero, che a monte del noto “discorso temerario” svolto da Pareyson sul “male in Dio” ci siano, occupando un ruolo pressoché esclusivo – e, va da sé, escludente -, le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana di Schelling; che esse, dunque, siano il reale punto di partenza e fonte unica d’ispirazione del discorso pareysoniano. Schelling è divenuto così l’indiscusso “nume tutelare” di un pensiero che, in tal modo, non solo viene inevitabilmente a perdere il suo vero tratto di originalità e novità, ma di cui, non secondariamente, viene sottaciuto un altro potentissimo – se pur certamente meno manifesto – influsso, quello di Karl Barth, in particolare le ricerche condotte da questi nel Römerbrief e nella sezione della Dogmatica dal titolo Dio e il Niente. Questo stato di cose è in parte addebitabile allo stesso Pareyson, il quale ha più volte additato proprio Schelling come fonte costante d’ispirazione del proprio pensiero, riservando a Barth certamente ben poche parole. Eppure, se, per quanto riguarda Barth, le parole sono per l’appunto poche, esse sono non solo preziose, ma decisive; né, riguardo Schelling, Pareyson ha omesso in alcun modo di rilevare i punti in cui il suo discorso si faceva, verso di questi, sempre più critico e lontano. Non s’intende qui, dunque, in alcun modo minimizzare l’influsso, del resto palese, esercitato da Schelling, bensì ridimensionarne l’“unicità”: ebbene, è possibile far ciò proprio approfondendo quei luoghi della ricerca pareysoniana in cui il dialogo di questi con Barth, nella sua forma più esplicita come in quella più implicita – a volte, spesso in verità, addirittura sottaciuta -, si rivela determinante. L’approfondimento di questi luoghi sarà accompagnato naturalmente da un tentativo di approfondimento, e di critica, delle aporie nelle quali, a parer nostro, sia Pareyson che Barth si imbattono proprio là dove il loro discorso si scontra con quello che è il principio fondamentale, ed al tempo stesso lo scoglio, fatale e inevitabile, su cui naufraga l’impresa di poter istituire una “connessione ontologica” tra male e Dio volendo, simultaneamente, salvaguardare l’identità e incommensurabilità divina. La discussione verterà sull’intima contraddittorietà della dialettica dell’incommensurabilità, a lungo tempo “cavallo di battaglia” del personalismo pareysoniano con e oltre Barth, mettendo in luce come questa conduca puntualmente ai medesimi esiti oppositivi e annichilenti della dialettica dell’implicanza barthiana: proprio questa, l“implicanza tra positivo e negativo” struttura di fatto il concetto di Dio in entrambi, con le logiche e inesorabili conseguenze che dovremo trarne.